Paddock Paradise

Il Paddock Paradise è un nuovo modo per far vivere i vostri cavalli. E' costruito in modo che possano trovare molte delle cose che troverebbero in natura. La struttura ad anello stimola il movimento del cavallo e quindi una migliore forma fisica e del piede.

Per maggiori informazioni riguardo al Paddock Paradise:

Negli ultimi venticinque anni il mondo del cavallo ha conosciuto, ed ancora vive pienamente, un’epoca d’innovazione e progresso, come probabilmente mai era accaduto prima.

La crescente sensibilità verso i temi ambientali in generale, cominciata negli anni settanta del secolo scorso, e parallelamente verso i diritti degli animali, hanno condotto ad un nuovo modo di guardare al rapporto millenario tra l’uomo ed il cavallo, mettendone in discussione quasi tutti gli aspetti, compresi quelli così consolidati da pratiche secolari da apparire quasi immutabili.

Si sono così viste apparire metodologie, pratiche ed attrezzature che, partendo dalla ricerca del rispetto etico e del benessere psicofisico del cavallo, rendessero possibile continuare ad utilizzarlo senza far pagare all’animale, come era sempre accaduto in passato, il prezzo di tale utilizzo. In principio a cominciare furono i sistemi di doma, detti “naturali” o etologici, che, sfruttando le caratteristiche dell’esser gregario dell’animale, stabilirono un rapporto non più basato sulla coercizione e la violenza, ma sulla collaborazione e la dolcezza. Nomi come quelli di Monty Roberts, Pat Parelli, John Lyons, solo per citarne alcuni tra i più famosi, sono oggi universalmente conosciuti da aver perfino travalicato, soprattutto nel caso del primo dei citati, lo stesso mondo del cavallo. Le metodologie da essi sistematizzate sono ormai così accettate, per gli ottimi risultati e la facilità e rapidità in cui vengono conseguiti rispetto al passato, che in molti ambienti si guarda ormai ai “vecchi metodi” come a qualcosa di barbarico, relegato al mondo dell’ignoranza.

Ma la rivoluzione in atto non si ferma a questo. Dalla metà degli anni ottanta ci si cominciò a chiedere quali fossero le vere caratteristiche del cavallo in natura, soprattutto a causa dell’osservazione degli ultimi cavalli che al mondo ancora vivano in un ambiente simile a quello primordiale in cui il cavallo si evolse: il cavallo selvaggio ( “mustang”) della regione del Great Basin negli Stati Uniti d’America. Soprattutto per gli studi di Jaime Jackson, in origine un maniscalco che si trovò a dover ferrare alcuni di tali cavalli appena catturati, si andò via via facendo sempre più chiaro quali e quanto grandi fossero le differenze tra le capacità dei nostri cavalli domestici, costretti ad una vita che teneva conto solo delle nostre esigenze di umani, ed i loro omologhi selvaggi, capaci di prestazioni enormemente superiori ed in possesso di uno stato di salute incomparabile. Jackson ha pubblicato diversi libri sui vari aspetti del cavallo selvaggio, mettendo chiaramente in luce come fosse necessario, per chi avesse come scopo primario la salute del cavallo, cambiare radicalmente l’approccio alla gestione del cavallo domestico, affinché potesse avvicinarsi ad un livello di qualità della vita confrontabile con quello della specie in natura.

Partendo dal punto di vista di un maniscalco, per prima cosa Jackson fu colpito dalle incredibili capacità del piede del cavallo in natura, tanto da focalizzarsi inizialmente soprattutto su tale aspetto. Notò come i cavalli selvaggi fossero capaci di percorrere sentieri pietrosi con una sicurezza ed una resistenza da parte del piede che sono completamente sconosciute ai domestici. Gli studi di Jackson stesso e di altri (Strasser, Eimery, Bowker, ed altri) dimostrarono poi come la pratica della ferratura interferisse notevolmente con la fisiologia del piede, diminuendone grandemente le possibilità di sviluppo. A causa di ciò la filosofia del “cavallo naturale” è anche conosciuta come filosofia “barefoot” (dall’inglese: scalzo), perché i cavalli gestiti secondo natura vengono appunto mantenuti ed utilizzati scalzi. Ridursi però soltanto a tale aspetto, costituirebbe uno sminuire gravemente la grande varietà di aspetti che tale approccio implica. I cavalli selvaggi infatti hanno ben altre qualità: non conoscono patologie del piede; vivono mediamente più dei loro omologhi domestici, contrariamente a quanto accade agli altri animali che vivono al nostro fianco; vivono in ambienti semidesertici, apparentemente estremamente poveri di cibo, pur avendo tassi di crescita molto alti; non conoscono malattie, come le parassitosi intestinali ad esempio, che affliggono invece le nostre scuderie; e l’elenco potrebbe continuare a lungo.

Sulla base di tutte queste considerazioni si è giunti quindi a formulare la domanda fondamentale: cosa rende il cavallo selvaggio così qualitativamente superiore, nel senso più ampio, del cavallo domestico?

La risposta è molto semplice: lo stile di vita che conduce in natura. Il cavallo in natura percorre ogni giorno mediamente tra i 30 ed i 50 chilometri, muovendosi continuamente, seppur lentamente; si nutre di una grandissima varietà di piante diverse, di libera scelta; fa ciò mangiando molto lentamente e per 16-18 ore al giorno; i terreni su cui si muove sono molto vari, per lo più estremamente aspri e pietrosi; vive una vita sociale molto intensa, all’interno di branchi rigidamente regolati. Da ciò, per quanto sommariamente esposto, si può facilmente comprendere come la vita che negli ultimi secoli i nostri cavalli domestici hanno condotto sia quanto di più innaturale si possa immaginare. Tutto ciò ha condotto quindi al chiedersi se fosse possibile replicare le condizioni di vita del selvaggio per i nostri cavalli domestici, senza che questo implicasse l’uso di estensioni enormi di territorio e senza dover rinunciare ad un utilizzo del cavallo, a causa delle difficoltà che una gestione con tali caratteristiche potrebbe implicare (pensiamo solo, ad esempio, al dover ”ricatturare” ogni giorno cavalli dispersi su grandi estensioni). La domanda finale è stata quindi: è possibile creare un ambiente che, pur senza avere le stesse caratteristiche di quello naturale per il cavallo, sia tale da indurre l’animale, attraverso i giusti stimoli, a condurre una vita simile a quella che condurrebbe se vivesse selvaggio, pur mantenendosi compatibile con un utilizzo da parte dell’uomo?

Oggi è possibile rispondere affermativamente a tale domanda: utilizzando il “Paddock Paradise”

Cos’è il Paddock Paradise?


Il Paddock Paradise (PP) è appunto un ambiente che induce il cavallo a vivere in modo analogo a quanto avverrebbe in natura. Sfrutta la caratteristica intrinseca del cavallo di muoversi “sul sentiero”, cioè seguendo piste che si tramandano per generazioni. Tale caratteristica si acuisce inoltre nel momento in cui i cavalli vengano posti in ambienti molto estesi in lunghezza (centinaia di metri o anche più),ma relativamente stretti (alcuni metri).

Si vengono così a costituire dei lunghi corridoi, ad anello, che inducono per la loro stessa forma, il cavallo a muoversi continuamente, analogamente a quanto avviene appunto in natura. Perché ciò avvenga è però assolutamente necessario aggiungere a questo ambiente di base, tutti gli altri stimoli che sono presenti in quello naturale, così da indurre uno stile di vita veramente consono a quello del selvaggio. Solo per citarne alcuni: tipologia di cibo fornito, modalità di distribuzione del cibo stesso, modalità di accesso all’acqua, possibilità di interazione sociale, varietà di terreni, e molti altri.



Luca Gandini    

Il nostro paddock paradise ha un’estensione in lunghezza di 1600 metri ed è compreso in un’area di 4 ettari, attualmente ospita 9 cavalli tra cui quelli per l’endurance, naturalmente l’alimentazione è basata esclusivamente su fieno di prato polifita distribuito una volta al giorno per circa 15 kg a capo sparso su piu’ di 1200 metri di lunghezza dell’anello in modo da stimolare la naturale ricerca del cibo. In altri punti ci sono la zona dei  sali minerali e la capannina, a lato della quale c’è il punto di abbeveraggio.